(Adnkronos) - La trattativa per la vendita di Gedi al gruppo Antenna, controllato/ dall’armatore greco Theo Kyriakou, non è ancora chiusa. Il negoziato è entrato nelle fasi cruciali: la cifra proposta, circa 140 milioni di euro, ha infatti soddisfatto le richieste di John Elkann. Ma nell’operazione potrebbe esserci un colpo di scena in extremis, l’inserimento, come anticipato due settimane fa da Domani, di un altro attore, questa volta tutto italiano. Martedì scorso, infatti, Lmdv Capital, il family office di Leonardo Maria Del Vecchio, ha presentato ai cda di Gedi e di Exor (che la controlla) un’offerta ufficiale di 140 milioni di euro tondi tondi, pareggiando la proposta formulata dal veicolo di Kyriakou. Lo riporta il Domani. Del Vecchio, uno degli eredi del fondatore di Luxottica, scrive il quotidiano, avrebbe così messo sul tavolo una cifra consistente, in linea con le richieste di Elkann (che in realtà considera l’asset non inferiore a 150 milioni di euro, ma sono inezie), e spera di convincere il giovane Agnelli a dare a lui il gruppo editoriale. Nell’iniziativa non c’è alcun coinvolgimento del resto della famiglia Del Vecchio, né tantomeno della Delfin, la holding finanziaria di famiglia guidata da Francesco Milleri, protagonista del risiko bancario di questi ultimi mesi. L’offerta di Del Vecchio, a differenza di quanto scritto da alcuni retroscena, prevederebbe, si legge ancora sul Domani, l’acquisizione in blocco di tutto il gruppo: non solo Repubblica ed emittenti radiofoniche (la “corona della regina” Radio Deejay, M2O e Radio Capital), ma anche La Stampa, Huffington Post, i periodici Limes e National Geographic. Nel caso in cui l’acquisizione dovesse andare in porto, l’intenzione di Del Vecchio, a differenza di quella di Kiriakou, sarebbe quella di conservare la proprietà di tutte le testate. Il greco, a ora, non crede che la Stampa (che avrebbe debiti di circa 30 milioni, secondo chi ha analizzato i conti scorporati delle varie testate) possa far parte in futuro del perimetro del nuovo colosso editoriale, e così potrebbe essere riallacciata, una volta comprata Gedi, la trattativa che Exor a iniziato con il gruppo editoriale Nem guidato da Enrico Marchi, oggi congelata. Idem per l’HuffPost, a cui sono interessati certamente due aziende di peso. Dopo l’offerta finale arrivata a fine novembre, la trattativa tra Gedi e Antenna non è chiusa, come invece veicolato su alcuni media, ma ha fatto certamente nuovi importanti passi in avanti. Ed è entrata nella fase warranty, cioè della trattativa sulle garanzie assegnate al compratore, che è titolare del diritto di acquistare Gedi al prezzo prestabilito entro una data di scadenza fissata, che è ancora ignota. Ci vorrà almeno un mese e mezzo per mettersi d’accordo. In questo pertugio temporale, Del Vecchio jr. spera di tentare Elkann a “cambiare cavallo”. Non sarà affatto facile, visto che la partita con i greci sembra alle battute finali, ma il giovane imprenditore punta sulla nazionalità sua e della sua azienda e, nel caso la sua offerta venga bocciata dai cda (che hanno comunque l’obbligo di discuterla), farne un’altra rilanciando sul prezzo. Qualche esperto, poi, suggerisce che Exor, puntando su Kyriakou e il suo socio saudita Bin Salman (Domani ha scoperto che il principe che ha dato ordine di uccidere il giornalista Jamal Khashoggi controlla, attraverso il fondo sovrano Pif, il 30 per cento di Antenna), potrebbe trovare un ostacolo, riporta il Domani, nell’esercizio del golden power da parte del governo. La questione non riguarda ovviamente i giornali, bensì l’uso delle frequenze radiofoniche, che potrebbero essere considerate asset strategico nazionale nell’ambito comunicazioni. Golden power che invece non riguarderebbe Del Vecchio, essendo il rampollo italianissimo. Cosa pensa Palazzo Chigi della doppia ipotesi è difficile dirlo. È un fatto che Elkann abbia settimane fa avvertito Giorgia Meloni della trattativa con Kyriakou. I due dopo anni di tensioni e scontri durissimi hanno riallacciato rapporti cordiali. La premier, scrive il quotidiano, ha preso atto, e ha detto ai suoi che non s’immischierà in nessun modo nella vicenda. Che viene seguita con attenzione e preoccupazione soprattutto dalla sinistra e dal Pd, che ha nel gruppo editoriale, e in particolare in Repubblica, uno dei suoi storici punti di riferimento editoriali. A prescindere dall’esito dell’operazione di cessione di Gedi (anche se alla fine, con ulteriore colpo di scena, Elkann dovesse decidere di non vendere) le redazioni di Repubblica e Stampa andranno comunque verso una riduzione del numero dei giornalisti. Ma gli esuberi ipotizzati (anche nelle fasi di trattativa con i greci) sono legati solo a prepensionamenti, nella speranza che il governo rifinanzi il prima possibile il fondo straordinario per l’editoria. In caso di accesso a queste risorse, la proprietà (nuova o vecchia che sia) secondo i calcoli di Gedi potrebbe mettere mano al prepensionamento di circa 100 giornalisti a Repubblica nei prossimi 24 mesi e di altri 40 alla Stampa. Un’operazione che aiuterebbe i conti di due testate in sofferenza, ma un patrimonio dell’editoria italiana da salvaguardare a ogni modo.
(Adnkronos) - L’Italia delle filiere vale 2.600 miliardi di euro, quasi 500 miliardi di export e oltre 17 milioni di occupati. Ma il nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager, 'Le filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata', mostra che la competitività non si misura più solo in produzione: oggi si misura nella capacità di generare, trasferire e proteggere conoscenza lungo le catene del valore. “Il nostro sistema produttivo - afferma Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager - ha gli asset per abitare il futuro: creatività, tecnologia, filiere che generano valore. Ma nella quinta rivoluzione industriale la competitività cresce solo se questi asset si parlano. Quando saperi e competenze circolano, il sistema diventa generativo, non estrattivo: entra uno e può uscire mille. È la logica dell’impresa 5.0: dobbiamo rafforzare le leve che la alimentano, dalle politiche di filiera alla cultura d’impresa, dalle piattaforme condivise a una leadership capace di integrare persone e tecnologie. In questo modo l’Ai diventa un vero moltiplicatore di crescita e posiziona il nostro Paese tra i protagonisti della competizione globale nella nuova economia della conoscenza”. Il Rapporto lo dice chiaramente: la cultura di filiera non è un lascito del passato, è la strategia d’adattamento al futuro in cui le imprese capofila sono gli hub strategici del sistema: definiscono la direzione, diffondono standard, accelerano l’innovazione e innalzano la qualità dell’intera catena del valore. Questi sistemi produttivi non sono più catene lineari, ma ecosistemi cognitivi. A questa lettura qualitativa si affianca un’analisi economica che ne misura la portata reale. Le filiere ad elevata rilevanza sistemica individuate da Istat - dall’Agroalimentare all’Energia, dalla Farmaceutica all’Abbigliamento, dalla Meccanica all’Ict - generano oltre il 56% del valore aggiunto nazionale e il 67% dell’export, mostrando come la forza dell’Italia risieda nella capacità di integrare produzione, mercati internazionali e conoscenza. Nei comparti a maggiore intensità cognitiva la produttività per addetto varia dai 269.000 euro della Chimica, ai 137.000 euro della Metallurgica. Questi ambiti rappresentano oggi una componente essenziale dell’economia nazionale, contribuendo in modo determinante alla capacità di crescita del sistema produttivo. Per sostenere questo modello di sviluppo, il Rapporto individua i fronti strategici su cui l’Italia è chiamata a progredire, mostrano margini di miglioramento rilevanti- -Digitale. Il processo di trasformazione digitale è in corso, ma presenta livelli di adozione ancora contenuti. L’8,2% delle imprese utilizza l’Ai integrata nei propri processi produttivi (Ue 13,5%) e il 45,8% della popolazione possiede competenze digitali di base (Ue 55,6%). I servizi pubblici digitali per le imprese si collocano su valori prossimi alla media europea (80,9% contro 86,2%). -Etica, Governance dell’AI e Cybersicurezza. Resta cruciale anche il tema della governance dell’Ai, strettamente legato alla cybersicurezza come componente essenziale dei sistemi produttivi avanzati. Quasi un’impresa su quattro segnala che gli aspetti etici rappresentano un ostacolo all’adozione dell’Ai, in particolare per la necessità di definire standard su protezione dei dati, trasparenza algoritmica e responsabilità nelle decisioni automatizzate. A questo si aggiunge la crescente attenzione alla sicurezza informatica: filiere più digitalizzate richiedono infrastrutture resilienti e capacità di prevenire attacchi che possono compromettere flussi informativi strategici. -Capitale manageriale e competenze: i manager del futuro come orchestratori della conoscenza. Il tema delle competenze e del capitale manageriale rappresenta uno snodo decisivo per la competitività dei sistemi produttivi. Il disallineamento tra domanda e offerta di profili qualificati è evidente soprattutto nelle posizioni ad alta complessità: nel 2024 quasi il 10% delle nuove assunzioni dirigenziali riguarda i Supply Chain Manager - profili che combinano competenze manageriali e specializzazioni in Ict, dati e sostenibilità – ma oltre il 50% delle imprese segnala difficoltà nel reperirli. A questo si aggiungono squilibri strutturali: oltre il 40% dei dirigenti ha più di 55 anni e solo il 22% è donna, fattori che limitano l’ingresso di nuove professionalità nei ruoli apicali. La fotografia del tasso di managerialità - che misura la presenza e l’intensità dell’azione dei dirigenti nelle filiere - conferma quanto il capitale manageriale sia un moltiplicatore competitivo. Le filiere ad alta intensità cognitiva, come Chimica (274), Ict (238) e Farmaceutica (231), registrano i valori più elevati, mentre Turismo (24), Logistica e Costruzioni (57) evidenziano una capacità più limitata di attivare innovazione e crescita. In questo scenario emerge con chiarezza il profilo del manager del futuro, destinato a diventare un vero orchestratore della conoscenza: non un semplice specialista verticale, ma una figura capace di leggere i cambiamenti, connettere competenze eterogenee e trasformare dati, tecnologie e saperi in direzione strategica. Per Stefano Cuzzilla, “sostenere l’evoluzione del Made in Italy significa affrontare una nuova fase competitiva che richiede una vera cultura di filiera, politiche industriali innovative di Sistema e un dialogo istituzionale più solido". "Una direzione pienamente coerente con la mission di 4.Manager, che punta a diffondere cultura d’impresa e a rafforzare le competenze necessarie a far crescere le filiere come ecosistemi integrati”, sottolinea. Su questa visione si articolano le tre direzioni operative fondamentali per i prossimi anni. Primo asse, infrastrutture della conoscenza: servono piattaforme di dati condivisi, standard comuni, un Osservatorio permanente sulle filiere del Made in Italy e strumenti di skills intelligence per aiutare le imprese a identificare rapidamente le competenze manageriali di cui hanno bisogno. Secondo asse, trasformazione digitale delle imprese: è necessario accelerare la digitalizzazione delle pmi, integrarle nelle reti delle grandi imprese capofila e sostenerle nell’adozione dell’intelligenza artificiale lungo tutti i passaggi delle filiere produttive. Terzo asse, capitale manageriale: il Paese deve investire sui manager del futuro attraverso Academy, percorsi di upskilling e reskilling, esperienze in filiere diverse e programmi di mentorship che favoriscano ricambio generazionale e diffusione delle competenze chiave. "Parlare oggi di filiere nell’era della Conoscenza Aumentata - dichiara Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager - significa riconoscere che questi sofisticati ecosistemi produttivi non sono più semplicemente 'trasformatori di materia', ma ecosistemi cognitivi che trasformano i saperi in 'saper fare' e il 'saper fare' in prodotti e servizi di elevatissimo valore. Se osserviamo le filiere da questa prospettiva, allora la politica industriale deve spostare il baricentro: non solo incentivi agli investimenti materiali, ma costruzione di data space di filiera, rafforzamento delle competenze dei leader e valorizzazione dei settori ad alta intensità di conoscenza".
(Adnkronos) - “Premiare il talento e la visione dei giovani significa rafforzare il futuro dell’agricoltura italiana”. Con questo messaggio inviato alla premiazione del Good Farmer Award il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha salutato i vincitori del premio promosso da Davines e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile dedicato all’agricoltura organica e rigenerativa under 35. Lollobrigida ha ricordato gli investimenti del governo: “Oltre 15 miliardi in tre anni hanno permesso all’Italia di riconquistare la leadership europea”, con un reddito agricolo cresciuto “del 10,4%, contro l’1,9% della media Ue”. Il ministro ha sottolineato il ruolo dei giovani: “L’agricoltura è oggi il secondo settore per imprenditori under 35, più di 51mila aziende”. Tra gli strumenti messi in campo, il programma Coltiva Italia con 150 milioni e 8mila ettari di terreni pubblici disponibili, e il Fondo Innovazione Ismea da 400 milioni. Sulla sostenibilità: “Difendere la qualità delle nostre produzioni significa sostenere chi punta su ricerca e cura del territorio. Continueremo a lavorare per un’agricoltura più forte, sostenibile e competitiva”.