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(Adnkronos) - "Una cosa a Sanremo mi è dispiaciuta". Alessia Marcuzzi, oggi ospite a Domenica In, a Mara Venier risponde alle domande sulla sua presenza al Festival di Sanremo 2025 come co-conduttrice per una serata. "In conferenza stampa ho detto che non era il mio sogno condurre Sanremo. Ovviamente ero felicissima di farlo, mi sono divertita", dice. "Sono stata autentica e sono stata me stessa sul palco. Sono un po' scanzonata, a volte anche a troppo. Non sono così 24 ore al giorno, in quel momento mi sentivo bene", dice Marcuzzi. "Sono stata molto criticata a Sanremo, non replico mai alle critiche che reputo fondamentali. Una cosa mi è dispiaciuta. Mi è arrivata addosso una shitstorm per il modo di fare troppo scanzonato. Mi hanno detto che hanno iniziato a scrivere che sembravo drogata", afferma. "Ci tengo a dire che non ho mai fumato in vita mia, non mi sono mai drogata. E' l'unica cosa che mi dispiace, per il resto accetto tutte le critiche. Mia figlia ha 13 anni e legge quello che viene scritto, mi dispiace quando scrivono che sembro drogata o ubriaca. Se non sono piaciuta, ci può stare...", dice ancora. La carriera di Alessia Marcuzzi, qualche anno fa, si è interrotta provvisoriamente. "Ho iniziato a lavorare in tv a 17 anni. Attorno ai 50 ho sentito il bisogno di fermarmi. Venivo da anni in cui avevo condotto il reality, non ero sicura di poterlo ancora fare. Non avevo il bisogno di andare in video, le mie altre attività mi consentivano di provvedere alle esigenze della mia famiglia. Potevo permettermi di fermarmi e l'ho fatto", spiega.
(Adnkronos) - Il 50% dei manager ritiene adeguato l’investimento formativo aziendale ad essi dedicato, mentre il 36% lo giudica insufficiente e un 7% afferma che non sia previsto affatto. Emerge dall’ultima survey, 'Essere manager: tra formazione e realtà operativa', condotta da Cegos Italia - parte di gruppo Cegos, player nel Learning & Development. Alla prima assunzione del ruolo, il 41% dei manager non ha ricevuto alcuna formazione, mentre il 9% ha optato per l’autoformazione gratuita o ha investito a proprie spese. L’autoformazione gratuita è un dato in crescita se si considera i diversi livelli di seniority, confermando la tendenza di una percezione di responsabilità condivisa tra azienda e individuo rispetto alla formazione. Tra i neo manager, infatti, si assesta al 16% vs il 5% dei manager con oltre 10 anni di esperienza. Per i manager che si sono formati per la prima esperienza nel ruolo, la formazione è stata pianificata principalmente dall’azienda, con percentuali stabilizzate intorno al 60%. “Chi sceglie la via di non investire in formazione per i profili di guida - ha commentato Emanuele Castellani, executive board member del gruppo Cegos e ceo di Cegos Italia - fa una scelta poco lungimirante e si avventurerà verso un sentiero rischioso. Le motivazioni dietro queste decisioni possono essere influenzate da limiti di budget, mancanza di visione o sottovalutazione del Roi. Eppure, investire in programmi di crescita dedicati ai manager non solo potenzia i loro risultati, ma incide su produttività e competitività, senso di appartenenza e valorizzazione dei dipendenti, migliorandone la retention. Dall’indagine emergono due esigenze fondamentali: da un lato, il bisogno di un supporto concreto che aiuti i manager a tradurre la teoria in pratica, gestendo al meglio aspetti operativi, strategici e dinamiche relazionali; dall’altro, l’importanza di promuovere la formazione come leva strategica pragmatica e continuativa per lo sviluppo delle competenze e relative performance, pena la mancanza di innovazione e di attrattività”. Oggi il ruolo del manager va ben oltre il coordinamento delle attività quotidiane, richiedendo la capacità di affrontare molteplici sfide: il bilanciamento tra strategie aziendali e operatività (43%), la creazione di ambienti motivanti (38%) e l’equilibrio tra responsabilità individuali e lavoro di squadra (34%). Seguono la gestione dei conflitti (33%), il Time Management - sia personale che dei collaboratori - e l’integrazione tra autorità e autorevolezza (entrambi al 29%). Nonostante il 64% abbia seguito corsi organizzati dall’azienda per sviluppare le proprie skill, 1 manager su 2 fatica ad applicare quanto appreso durante i programmi di leadership: solo un terzo vi riesce quotidianamente. Percentuali similari anche per i programmi di comunicazione; nonostante le skill siano di natura più tangibile, il 47% dichiara di non riuscire sempre ad applicarle. Il 50% ritiene che i modelli ibridi siano adatti alla maggior parte delle situazioni lavorative, il 37% li vede addirittura come il futuro del lavoro. Per il 12% sono incompatibili con la maggior parte dei contesti lavorativi. Il 46% dei manager ritiene che l’azienda la incoraggi in misura significativa, a fronte di un 27% che percepisce la propria azienda non sufficientemente impegnata, forse a causa di resistenze culturali e mancanza di visione strategica. “In un ecosistema ideale - osserva Emanuele Castellani - un manager efficace dovrebbe bilanciare abilità interpersonali, gestionali e tecniche per affrontare le complessità. La scelta di adottare uno stile più analitico o relazionale è influenzata dalla cultura aziendale e dalla tipologia di obiettivi, ma è evidente che, se l’innovazione è il motore del cambiamento organizzativo e il cambiamento passa dalle persone, la gestione attraverso una leadership autentica e inclusiva è il cuore del successo”. Per Cegos sono otto le leve per una gestione ottimale delle dinamiche dei team. 1) Definizione di ruoli e responsabilità: il 72% dei manager privilegia una struttura chiara, ben definita, con una comunicazione continua per adattarsi alle necessità individuali, tanto che gli interventi per mancanza di chiarezza nelle indicazioni sono isolati. 2) Decisioni impopolari: il 26% le trasmette chiaramente affinché siano compresi i benefici a lungo termine, il 22% tenta di trasformarle in opportunità di crescita, mentre il 21% non è sempre a proprio agio nel comunicarle e cerca il compromesso migliore. 3) Gestione dei problemi legati alle attività del team: il 39% sceglie la via dell’equilibrio, alla ricerca di una soluzione comune. Il 21% incoraggia il gruppo a vedere i problemi come sfide per agire sulla motivazione, mentre il 15% si affida ai dati per soluzioni informate. 4) Risoluzione dei conflitti: il 26% preferisce una risoluzione discreta e autonoma, senza ricorrere a figure esterne, il 25% adotta una visione positiva nel tentativo di trasformare i conflitti in opportunità e il 17% resta imparziale, rischiando però di non considerare pienamente le dinamiche emotive. 5) Disponibilità e comunicazione: sempre contattabili in 3 casi su 4 e promotori del dialogo per la comunicazione all’interno del team, il 53% predilige i colloqui di persona, affiancandoli a e-mail (51%) e chat (41%) per mantenere operatività e tracciabilità. 6) Fiducia nel team: in prevalenza si fidano del lavoro del proprio team (32%), mantenendo un controllo discreto per evitare eccessiva rigidità e non compromettere l’autonomia del gruppo; il 24% combina la fiducia con analisi dei dati e dei risultati. Il controllo totale (micromanagement) è percepito come controproducente, tant’è che è stato scelto solo nel 4% dei casi. 7) Coinvolgimento dei collaboratori nelle decisioni: il 41% adotta un approccio bilanciato, ascoltando e guidando il gruppo. 8) Valutazione delle performance: uno su tre dichiara di disporre di un sistema di valutazione, ma che necessiti di miglioramenti. Il 23% non utilizza alcun Kpi, determinando una potenziale limitazione nella capacità di prendere decisioni basate su dati concreti, che potrebbe tradursi in inefficienza e difficoltà nel raggiungere i principali obiettivi strategici.
(Adnkronos) - Carta e cartone per il packaging provenienti da filiere sostenibili e uso responsabile delle risorse idriche. In occasione della Giornata Internazionale delle Foreste e della Giornata Mondiale dell’Acqua, che si celebrano rispettivamente il 21 e il 22 marzo, Barilla rinnova il suo impegno a lungo termine per la tutela dell’ambiente, un valore che da sempre è parte integrante della sua identità, sin dalle origini nel 1877. Uno degli esempi più tangibili della filosofia sostenibile di Barilla è la sua attenzione per il packaging. Le confezioni di Pasta Barilla sono progettate per garantire sicurezza e qualità degli alimenti, riducendo al contempo spreco di cibo e impatto ambientale. L’azienda utilizza ogni anno quasi 160mila tonnellate di carta e cartone per gli imballaggi, provenienti da filiere forestali gestite in modo responsabile. Emblema di questo impegno è la Blue Box, l’iconico pack che contraddistingue il marchio Barilla, realizzata con cartoncino in fibra vergine. Una scelta che assicura una 'gestione forestale sostenibile', basata sulla tutela dell’ambiente, sul rispetto dei diritti e delle tradizioni culturali, e sulla promozione della sostenibilità economica delle attività forestali. A ciò si aggiunge l’uso di inchiostri a basso odore, che migliorano ulteriormente la riciclabilità delle confezioni nella filiera della carta. Un altro passo significativo è stata l’eliminazione graduale della finestrella di plastica dalle confezioni, che ha consentito di ridurre l’immissione di plastica superflua sul mercato per un totale di circa 126mila kg in meno ogni anno. Non solo. Dal 2022, nel cuore della campagna parmense, accanto allo stabilimento di pastificazione, sorge AgriBosco: progetto dedicato alla biodiversità e all’educazione ambientale, nato dalla collaborazione con Legambiente e AzzeroCO2. Su un’area di 23 ettari, campi di grano tenero e duro coltivati in modo sostenibile si alternano, insieme ad un bosco con 3mila alberi autoctoni, piantati grazie al supporto del Consorzio Forestale KilometroVerdeParma, al fine di ripristinare la biodiversità locale e arricchire il paesaggio. Un progetto ambizioso e aperto alla comunità locale, dove l’educazione alla sostenibilità si trasforma in esperienza diretta, con percorsi tematici che raccontano l’importanza dell’apicoltura, del risparmio idrico e della salvaguardia della biodiversità. Sono stati oltre 400 gli alunni delle scuole di Parma, che negli anni hanno percorso i sentieri dell’AgriBosco, imparando i principi dell’agricoltura sostenibile e della tutela dell’ambiente. Secondo le stime di AzzeroCO2, l'AgriBosco di Barilla, esteso su più di 54mila metri quadrati, contribuirà ogni anno all'assorbimento di 13mila kg di CO2eq per i prossimi 100 anni. Barilla, già dagli anni ’70, ha riconosciuto il valore dell’acqua come bene prezioso da preservare, adottando una gestione responsabile che non si limita all’ottimizzazione del consumo in fase produttiva, ma si estende a un approccio più ampio, basato su recupero, riutilizzo e riduzione degli sprechi. Grazie a investimenti in tecnologie innovative, oggi, l’azienda ha ridotto del 21% il fabbisogno idrico per tonnellata di prodotto rispetto al 2010, monitorando costantemente i consumi su base mensile e annuale nei suoi 30 stabilimenti per identificare e implementare nuove soluzioni di efficientamento. Un esempio reale di questo impegno è rappresentato dagli interventi realizzati, ad esempio, nel Comprensorio di Pedrignano, dove l’adozione di gruppi frigo condensati ad acqua e torri evaporative di ultima generazione ha permesso un risparmio annuo di 65mila m3, il recupero idrico da raffreddamento diretto e pompe vuoto ha garantito 46mila m3 di acqua risparmiata ogni anno, mentre la sostituzione dei compressori raffreddati ad acqua con macchine raffreddate ad aria ha comportato un’ulteriore riduzione di 40mila m3 annui. Inoltre, l’introduzione di un impianto di potabilizzazione a ciclo combinato ha ridotto gli scarti a meno del 3,5% del totale captato, mentre l’implementazione di pompe di circolazione dell’acqua surriscaldata a 160 °C senza raffreddamento a perdere ha generato un ulteriore risparmio annuo di 4.500 m3. Solo 2023, l’azienda ha riutilizzato ben 112.029 mega litri di acqua, pari al 5% del volume totale prelevato, in un’ottica di circolarità e responsabilità. Particolare attenzione è riservata agli impianti situati in aree a rischio di stress idrico, dove l’ottimizzazione delle risorse è ancora più cruciale. Un impegno che è stato riconosciuto a livello internazionale: Barilla, infatti, ha ottenuto una valutazione 'B' dal Carbon Disclosure Project (Cdp), ente globale di primaria importanza che valuta e premia le aziende in base alla trasparenza e alla gestione dell'impatto ambientale.