(Adnkronos) - Quando mancano 10 mesi all'80esimo anniversario dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e in un momento storico in cui il tema degli armamenti nucleari è tornato di grande attualità, la Japan Confederation of A-Bomb and H-Bomb Sufferers' Organisations - comunemente nota come Hidankyo - ha ricevuto il Nobel per la Pace. Il comitato del Nobel ha motivato la propria scelta parlando degli "sforzi dell'organizzazione per raggiungere un mondo libero da armi nucleari e per aver dimostrato, attraverso le testimonianze degli "hibakusha", i sopravvissuti ai bombardamenti dell'agosto del 1945, che le armi nucleari non devono mai più essere usate”. Fondata nel 1956, la Nihon Hidankyo è composta da gruppi di sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki sganciate dagli Stati Uniti nell'agosto del 1945, ed include anche i superstiti dell'infausto "fallout di Castle Bravo", il test con armi termonucleari condotto dagli Usa nell'atollo di Bikini nel 1954, che causò una sindrome da radiazioni acute nei residenti degli atolli vicini e in 23 membri dell'equipaggio di un peschereccio giapponese. Fu proprio quest'ultimo incidente ad ispirare la nascita dell'organizzazione il 10 agosto del 1956, che ha come obiettivo la denuclearizzazione nel mondo. Hidankyo iniziò a svolgere un ruolo di primo piano nella politica giapponese già nei primi anni '60, quando si scagliò con forza contro l'"Anpo", il trattato di mutua cooperazione tra Washington e Tokyo che permetteva agli americani di mantenere basi militari sul suolo nipponico. La politicizzazione creò tuttavia una spaccatura all'interno dell'organizzazione, tra pacifisti moderati e filo-sovietici, che invece si dimostravano più tolleranti verso la nuclearizzazione di Mosca. Per questo motivo dal 1965 la Hidankyo ha scelto di non allinearsi a nessun partito, pur rimanendo estremamente attiva sulla scena politica. Oggi la Hidankyo è una realtà molto rispettata in patria, e le viene riconosciuto un ruolo chiave nella custodia della memoria nazionale, sensibilizzando circa la realtà dei bombardamenti atomici sia a livello nazionale che internazionale. Non sono rare le occasioni in cui l'organizzazione si prende carico di petizioni nei confronti del governo giapponese, delle Nazioni Unite e di altri governi, sempre nel segno della denuclearizzazione. Sin dalla sua fondazione, Hidankyo chiede che il governo giapponese ammetta la responsabilità nello scoppio della guerra, e che venga fornito un risarcimento statale alle famiglie e i sopravvissuti colpiti dalle bombe. L'organizzazione insiste da anni sulla creazione di una “legge sugli aiuti agli Hibakusha” che includa "l'impegno della nazione a fare ogni sforzo affinché non ci sia mai più un altro Hibakusha", si legge sul loro sito. Pur rifiutando di ammettere la propria responsabilità bellica, il governo giapponese e altri organi statali hanno dovuto negli anni accogliere molte richieste di Hidankyo, come la promulgazione della "Legge per l'assistenza medica ai sofferenti della bomba atomica" nel 1957, e la "Legge sulle misure speciali per gli esposti alla bomba atomica" nel 1968. Nel dicembre 1994 è stata adottata una legge denominata "Legge sull'assistenza ai sopravvissuti alle bombe atomiche", che però non prevede un risarcimento statale né ammette la responsabilità del governo di Tokyo nello scoppio del conflitto mondiale.
(Adnkronos) - Rendite catastali, manovra e tasse: i temi si intracciano nel dibattito di questo periodo "soprattutto in relazione agli interventi di riqualificazione energetica incentivati dal Superbonus". A fare il punto con Adnkronos/Labitalia Mirco Mion, presidente di Agefis, Associazione dei geometri fiscalisti. "Le recenti dichiarazioni del Ministro Giorgetti hanno sollevato timori su un possibile aumento delle rendite catastali per alcuni immobili, con incrementi stimati fino al 36-38% nelle grandi città come Roma e Milano. Tuttavia, non tutti gli immobili che hanno beneficiato del Superbonus vedranno automaticamente un aumento della rendita", osserva. "L’aumento delle rendite catastali - spiega - non è una conseguenza diretta degli interventi di riqualificazione energetica. Questo incremento si verifica solo in caso di modifiche sostanziali all’immobile, come ampliamenti o frazionamenti, che alterano la sua classificazione catastale. Gli interventi puramente energetici, come quelli incentivati dal Superbonus, potrebbero non comportare variazioni significative nelle rendite". "L'aumento della rendita catastale - sottolinea - non avviene in modo automatico. Esso scatta solo in caso di modifiche strutturali rilevanti che cambiano la natura dell’immobile, come ampliamenti o frazionamenti. Gli interventi energetici, come l’isolamento termico o la sostituzione degli impianti, potrebbero non influire sulla rendita catastale, se non modificano la classificazione dell’immobile. E' quindi importante che i proprietari comprendano quali interventi possano comportare un aggiornamento della rendita catastale. Rischio di aumento per altre imposte. L’aumento della rendita catastale non ha impatto solo sulle imposte locali, come l’Imu, ma può influenzare anche altre imposte, come quelle relative alle successioni o ai trasferimenti immobiliari. Se la rendita catastale di un immobile venisse rivista al rialzo, potrebbe tradursi in un maggiore carico fiscale anche per chi eredita una proprietà o in caso di compravendite e donazioni". "Una modifica delle rendite catastali - avverte il presidente Mion - può comportare un aumento delle imposte di successione e delle imposte sui trasferimenti, incidendo ulteriormente sul valore patrimoniale degli immobili. La mancata riforma del catasto: un problema irrisolto. Un aspetto fondamentale da considerare è la mancata riforma del catasto. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non aver ancora realizzato una revisione organica del sistema catastale. Questo ha creato disparità tra i contribuenti, poiché le rendite catastali non rispecchiano più il reale valore di mercato degli immobili". "La riforma del catasto - commenta - è necessaria per garantire maggiore equità fiscale. Senza un intervento strutturale, rischiamo di penalizzare coloro che hanno investito nella riqualificazione energetica delle proprie abitazioni e di creare ingiustizie tra i contribuenti". La revisione del catasto "non solo renderebbe il sistema più equo, ma allineerebbe le rendite agli attuali valori di mercato, permettendo una distribuzione più bilanciata del carico fiscale. Tuttavia, la riforma è rimasta bloccata per via delle resistenze politiche, lasciando aperte le questioni legate alle disuguaglianze nel calcolo delle rendite catastali".
(Adnkronos) - In 50 anni (1970-2020) c'è stato un calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio: in America Latina e nei Caraibi il calo più marcato (-95%) seguite da Africa (-76%) e Asia-Pacifico (-60%). E' quanto emerge dal Living Planet Report (Lpr) 2024 del Wwf. Il Living Planet Index (Lpi), fornito dalla Zsl (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35mila popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020. Il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). Il report avvisa che, mentre il Pianeta si avvicina a pericolosi punti di non ritorno che rappresentano gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà necessario un enorme sforzo collettivo per affrontare la duplice morsa della crisi climatica e biologica. "La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie. Il cambiamento climatico rappresenta un’ulteriore minaccia in particolare per la biodiversità in America Latina e nei Caraibi, regioni che hanno registrato un impressionante calo medio del 95%. Il calo delle popolazioni di specie selvatiche è un indicatore di allerta precoce del crescente rischio di estinzione e della potenziale perdita di ecosistemi sani", avverte il Wwf. Quando gli ecosistemi vengono danneggiati, "cessano di fornire all’umanità i benefici da cui dipendiamo, aria pulita, acqua e terreni sani per il cibo, e possono diventare più vulnerabili e sempre più vicini al punto di non ritorno. Un ‘tipping point’, infatti, si verifica quando un ecosistema viene spinto oltre una soglia critica, determinando un cambiamento sostanziale e potenzialmente irreversibile. I tipping point globali, come il deperimento della foresta amazzonica e lo sbiancamento di massa delle barriere coralline, creerebbero onde d’urto che andrebbero ben oltre l’area interessata, provocando un impatto sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza. Il segnale d’allarme è arrivato con gli incendi in Amazzonia che ad agosto hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 14 anni, mentre all’inizio di quest’anno è stato confermato un quarto evento globale di sbiancamento di massa dei coralli". Per Kirsten Schuijt, direttrice generale del Wwf Internazionale, "la natura sta lanciando un vero e proprio Sos. Le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti, con pericolosi punti di non ritorno globali che minacciano di danneggiare i sistemi che supportano la vita sulla Terra e di destabilizzare le società. Le conseguenze catastrofiche della perdita di alcuni dei nostri ecosistemi più preziosi, come la foresta amazzonica e le barriere coralline, colpirebbero le persone e la natura di tutto il mondo”. "Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui - dice Alessandra Prampolini, direttrice generale del Wwf Italia - Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti. Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul pianeta. La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura, trasformare il sistema energetico, il sistema alimentare, uno dei motori principali della perdita di biodiversità globale, il sistema finanziario, indirizzandolo verso investimenti più equi e inclusivi. La Conferenza sulla biodiversità di fine ottobre e quella sul clima a novembre sono occasioni preziose: servono azioni coraggiose e leadership forti da parte dei governi. Servono piani nazionali più ambiziosi per il clima e la natura e chiediamo al governo italiano di riconoscere la centralità di questa sfida che riguarda il futuro di tutti". Tra le popolazioni di specie monitorate nell’Lpi è segnalato, ad esempio, un calo del 57% tra il 1990 e il 2018 nel numero di femmine nidificanti di tartaruga marina embricata sull’isola Milman, nella Grande Barriera Corallina in Australia; un calo del 65% dell’inia (un delfino di fiume) nel Rio delle Amazzoni e un calo del 75% della più piccola sotalia tra il 1994 e il 2016 nella riserva di Mamirauá sempre in Amazzonia. Lo scorso anno, durante un periodo di caldo estremo e siccità, oltre 330 inie sono morte in soli due laghi. L’indice rivela anche come alcune popolazioni animali si siano stabilizzate o siano aumentate grazie agli sforzi di conservazione, come è accaduto per la sottopopolazione di gorilla di montagna, aumentata di circa il 3% all’anno tra il 2010 e il 2016 all’interno del massiccio del Virunga nell’Africa orientale, e per il bisonte europeo, che ha visto un ritorno delle popolazioni in Europa centrale. Tuttavia, questi successi isolati non sono sufficienti. Kirsten Schuijt, continua: “Nonostante la situazione sia disperata, non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno. Disponiamo di accordi e soluzioni globali per portare entro il 2030 la natura sul percorso di ripresa, ma finora ci sono stati pochi progressi sia in termini di risultati che di urgenza. Le decisioni e le azioni intraprese nei prossimi cinque anni saranno cruciali per il futuro della vita sulla Terra". Per Andrew Terry, direttore Conservation Policy presso la Zsl, "il Living Planet Index evidenzia a livello globale la continua riduzione delle popolazioni animali selvatiche e questo assottigliamento dell’albero della vita rischia di farci arrivare a pericolosi punti di non ritorno. In questa perdita non siamo inermi. Sappiamo cosa fare e sappiamo che, se ne ha la possibilità, la natura può riprendersi: ciò di cui abbiamo bisogno ora è un aumento dell’azione e dell’ambizione. Abbiamo cinque anni per raggiungere gli impegni internazionali volti a ripristinare la natura entro il 2030. I leader mondiali si riuniranno presto per la Cop16 e abbiamo bisogno di vedere risposte forti da parte loro e un aumento immediato delle risorse necessarie a raggiungere tali impegni e rimetterci sul percorso verso la ripresa”.